da Fixing del 16 ottobre 2009/1709 d.F.R.
Là dove volano le libellule
Con ogni probabilità, l’artista sammarinese Alberto Chezzi non ama il mondo di Lilliput: all’universo-bonsai di Gulliver, il bravo pittore locale contrappone un mondo – il suo, vissuto e personale – dalle dimensioni ampie, che fanno respirare.
E se la scelta del titolo della mostra – “Dragonfly”, la libellula dagli occhi a mandorla e dall’accento decisamente orientale – può far pensare a piccoli insetti che volano, nella realtà Chezzi e il suo pennello ingrandiscono ogni percezione umana: 18 tele, esposte fino all’8 ottobre a Palazzo Arzilli, per raccontare – attraverso i colori, il canvas e il jeans – le sfere intime dell’artista.
Come la figlia Matilde – la libellula – che si è appoggiata su una tela: il visitatore ne scorge la sagoma, il periplo. E, facendo un passo all’indietro, immagina il volto, le fattezze, i sorrisi. Il suo stare sdraiata, forse nell’attimo prima che anticipa il sonno, o la metamorfosi, o più semplicemente, come la Alice di Lewis Carroll, il suo diventare donna.
Nel mondi di Chezzi trovano spazio colori allegri – su tutti l’ampio utilizzo dell’azzurro – e una pennellata ruvida, decisa, che prende per mano il visitatore per accompagnarlo dentro l’opera stessa.
A differenza di molti artisti contemporanei, Chezzi usa anche scrivere: nelle tele infatti, nelle immagini e nelle forme geometriche, si stagliano spesso vocali e consonanti che farebbero felice – per come sono dislocate e vergate – Leonardo Da Vinci.
Lettere capovolte, misteriose, quasi provenissero da un mazzo di tarocchi. Non c’è ordine – se ordine vuol dire pulizia, geometria, nitidezza – bensì un affastellamento, pensato, preciso e sempre molto equilibrato di consonanti storte, rispecchiate, capovolte. E – aspetto davvero curioso – sempre leggibili.
C’è la storia dell’artista, in queste opere: l’amore per la sua terra (una bandiera della Repubblica di San Marino in cui, alla precisione della disposizione dei colori della bandiera fanno da contraltare una R rossa ‘corretta’, una S che si specchia e appare riflessa, una M capovolta), il legame che lo unisce alla piccola figlia (“Dragonfly”, la bimba ha ali arlecchine e un fiore nel petto), la varietà di pantaloni (le coste del velluto, nei colori molto autunnali, anticipano i jeans dalle molte tasche, che da lontano arrivano agli occhi come una griglia di tanti anni fa, quando si giocava a riempirla di piccoli pallini e di x per provare a fare una fila), la natura. E la vita, quella dell’artista, i suoi legami affettivi. I suoi sogni.
Alessandro Carli
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